Assegno divorzile: riflettori puntati sull’apporto fornito alla vita familiare
Possibile fare riferimento anche ad indici quali la lunga durata del matrimonio, la giovane età dei coniugi al momento delle nozze, la presenza di figli, l’età del coniuge al momento della separazione e le scelte comuni circa l’indirizzo della vita coniugale

In materia di assegno divorzile, il contributo fornito da un coniuge alla formazione del patrimonio familiare e di quello dell’altro coniuge può, se frutto delle scelte comuni di conduzione della vita familiare e di definizione dei ruoli all’interno della coppia, essere provato con ogni mezzo, anche mediante presunzioni, valorizzando indici rivelatori quali la lunga durata del matrimonio, la giovane età dei coniugi al momento delle nozze, la presenza di figli, l’età del coniuge al momento della separazione e le scelte comuni circa l’indirizzo della vita coniugale.
Questi i paletti fissati dai giudici (ordinanza numero 18544 dell’8 luglio 2025 della Cassazione), i quali, a chiusura del contenzioso sorto tra una coppia di ex coniugi, hanno sancito che l’uomo deve ogni mese versare 500 euro all’ex moglie.
Inequivocabile, in sostanza, il divario reddituale tra le posizioni dei due ex coniugi, percependo lei solo il sussidio per attività socialmente utili, per una cifra di quasi 600 euro, e vantando lui un reddito annuo lordo superiore ai 45mila euro.
Per i giudici, però, la disparità tra lui e lei è dovuta, ecco il passaggio chiave, anche ad alcuni dettagli, come la lunga durata dell’unione matrimoniale, pari a più di venticinque anni.
Ampliando l’orizzonte, poi, viene precisato che la prova del contributo fornito dalla donna alla formazione del patrimonio familiare e di quello del coniuge è desumibile dalla valorizzazione di diversi indici rivelatori della rinuncia da parte della donna, come coniuge più debole, ad una attività lavorativa, quali la lunga durata del matrimonio, appunto, la giovane dei coniugi al momento delle nozze, la presenza di figli, l’età della donna al momento della separazione, le scelte comuni circa l’indirizzo della vita coniugale e simili.
Ragionando in questa ottica, nella vicenda in esame si riscontrano, secondo i giudici, diversi elementi fattuali che depongono proprio in tal senso: la lunga durata del matrimonio; la giovane età dei coniugi, al momento delle nozze; la nascita di due figlie, la prima di esse a pochi mesi dalla celebrazione del matrimonio, la seconda dopo quattro anni e mezzo circa. Senza dimenticare, poi, che, al momento della pronuncia della separazione, la donna aveva circa quasi 48 anni, e senza trascurare, infine, la prestazione dell’attività lavorativa, anche all’estero, da parte del marito, pure nel corso della convivenza matrimoniale.
Tutte queste circostanze fanno presumere l’apporto della donna al consolidamento del patrimonio familiare, trattandosi di fatti talmente significativi da lasciare apparire, secondo i giudici, l’esistenza del contributo da parte della moglie come una conseguenza ragionevolmente probabile del quadro emerso.
In sostanza, un matrimonio di così lunga durata, caratterizzato dalla nascita della prima figlia a pochi mesi dalle nozze e poi di un’altra figlia, a distanza di poco più di quattro anni dalla prima, in cui il marito (padre) è stato quotidianamente impegnato in un’occupazione lavorativa che lo ha portato anche all’estero per lunghi periodi, induce a ritenere ragionevolmente che la moglie, per comune volere di lei e del coniuge, abbia inteso dedicarsi alla cura della famiglia ed alla crescita della prole, contribuendo così giornalmente al sereno andamento del menage familiare e permettendo, nel contempo, al marito di destinare la gran parte delle proprie energie all’attività lavorativa di riferimento, consentendogli anche di raggiungere un livello di inquadramento superiore. In senso contrario non rileva che la donna sin da epoca anteriore alla separazione abbia svolto attività lavorativa nell’ambito dei lavori socialmente utili, trattandosi di un’occupazione intrapresa quando le figlie ormai erano alquanto cresciute e, in ogni caso, di una prestazione lavorativa che, come è noto, richiede un impegno non a tempo pieno, bensì per un numero di ore settimanali non elevato.
Evidente, quindi, secondo i giudici, l’apporto causale che la donna ha dato alla vita familiare durante tutto il lungo corso del rapporto matrimoniale, sia in termini di cura ed assistenza delle due figlie e, più in generale, dell’andamento domestico e familiare, sia in termini di collaborazione alla formazione del patrimonio dell’altro coniuge, consentendo a lui di svolgere a tempo pieno un’attività lavorativa adeguatamente retribuita e di progredire alquanto nella carriera.