Volumi tecnici destinati a contenere gli impianti del fabbricato: legittimo catalogarli come parti comuni
Chi rivendica la proprietà esclusiva dei cosiddetti volumi tecnici ha l’onere di provare un titolo risultante dall’atto costitutivo del condominio

I volumi tecnici destinati a contenere gli impianti del fabbricato, quali, ad esempio, i vani caldaia, rientrano tra le parti comuni quando la loro destinazione al servizio comune sussiste già al momento della costituzione del condominio.
Questo il paletto fissato dai giudici (ordinanza numero 2787 del 4 febbraio 2025 della Cassazione), i quali, a chiusura di un contenzioso sorto in uno stabile nella provincia di Napoli, aggiungono che chi rivendica la proprietà esclusiva dei cosiddetti volumi tecnici ha l’onere di provare un titolo risultante dall’atto costitutivo del condominio, non essendo sufficiente quanto stabilito nel regolamento condominiale di formazione unilaterale.
Nella specifica vicenda il ‘locale caldaia’, ove era ubicato l’impianto termico condominiale, poi dismesso a seguito della soppressione del servizio di riscaldamento centralizzato, viene dichiarato di proprietà comune dei condòmini.
In generale, comunque, in tema di condominio negli edifici, i cosiddetti volumi tecnici, ossia quelli destinati a contenere gli impianti tecnici del fabbricato (quali i vani ascensore, caldaia, autoclave, contatori), rientrano tra le parti comuni, poiché vincolati all’uso comune, in virtù della loro naturale destinazione o della loro connessione materiale e strumentale rispetto alle singole parti dell’edificio. Quindi, per stabilire la condominialità di detti beni, occorre accertare che la relazione di accessorietà ed il collegamento funzionale fra gli impianti o i servizi comuni, da un lato, e le unità in proprietà esclusiva, dall’altro, sussistessero già al momento della nascita del condominio, non rilevando il collegamento creato solo successivamente alla formazione dello condominio stesso, dal quale potrebbe piuttosto discendere la costituzione di una servitù a carico di porzione di proprietà esclusiva.
Di conseguenza, per stabilire se un’unità immobiliare è comune, poiché destinata ai servizi comuni, bisogna accertare se, all’atto della costituzione del condominio, come conseguenza dell’alienazione dei singoli appartamenti da parte dell’originario proprietario dell’intero fabbricato, vi fosse tale destinazione, espressamente o di fatto, dovendosi altrimenti escludere la proprietà comune dei condomini.
Invero, a differenza delle cose necessarie all’uso comune, alcuni locali dell’edificio raffigurano beni ontologicamente suscettibili di utilizzazioni diverse, anche autonome, e perciò, per diventare beni comuni, essi abbisognano di una specifica destinazione al servizio in comune. Ciò significa che, in difetto di espressa disciplina negoziale, affinché un locale – che, per la sua collocazione, può essere adibito a vano caldaia, oppure diversamente utilizzato come qualsiasi unità abitativa – diventi una parte comune dell’edificio, occorre che, all’atto della costituzione del condominio, al detto locale sia di fatto assegnata la specifica destinazione al servizio comune. Mancando una apposita convenzione espressione di autonomia privata, accertare se, al momento della costituzione del condominio, il locale sia o no destinato al servizio comune, nella specie a vano caldaia, raffigura un giudizio di fatto, riguardante le concrete vicende dell’utilizzo dell’unità immobiliare.
Tornando alla vicenda esaminata dai giudici, quando opera la presunzione legale di proprietà comune di parti del complesso immobiliare in condominio, è onere del condòmino che pretenda l’appartenenza esclusiva di uno di tali beni dare la prova della sua asserita proprietà, senza che a tal fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o del suo dante causa, ove non si tratti dell’atto costitutivo del condominio.
Ragionando in questa ottica, non è stata fornita la prova che, al momento della nascita del condominio, non esisteva il locale caldaia adibito a servizio della collettività.