Soggetti danneggiati da vaccinazioni o da emotrasfusioni: l’assegno ‘una tantum’ presuppone la vivenza a carico della vittima

Necessario, quindi, il requisito della dipendenza economica, anche solo parziale, del congiunto superstite dal reddito della persona deceduta

Soggetti danneggiati da vaccinazioni o da emotrasfusioni: l’assegno ‘una tantum’ presuppone la vivenza a carico della vittima

In materia di indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie o emotrasfusioni infette, il riconoscimento dell’assegno ‘una tantum’ in favore dei superstiti presuppone la sussistenza del requisito della vivenza a carico della vittima, requisito inteso come dipendenza economica, anche solo parziale, del congiunto superstite dal reddito della persona deceduta. Tale requisito non può ritenersi insito, invece, nel mero fatto della convivenza coniugale, poiché la sussistenza degli obblighi derivanti dal rapporto di coniugio, come da Codice Civile, non è di per sé sufficiente a certificare una situazione di non autosufficienza economica di ciascun coniuge rispetto all’altro.
Questi i chiarimenti forniti dai giudici (ordinanza numero 22672 del 6 agosto 2025 della Cassazione) a chiusura del contenzioso originato dalla richiesta avanzata da una vedova (e relativa a una cifra pari a circa 77mila euro) nei confronto del Ministero della Salute.
In sostanza, la donna, premesso che il coniuge, già titolare dell’indennizzo previsto per i soggetti lesi da patologie cagionate da emotrasfusioni infette, è deceduto per insufficienza epatica acuta correlata all’epatopatia contratta a causa delle somministrazioni di sangue cui è stato sottoposto, chiede al Ministero della Salute di corrisponderle l’assegno una tantum – quantificandolo in quasi 77mila e 500 euro – previsto dalla legge numero 210 del 1992.
Per i giudici di merito, però, è decisivo il difetto del requisito della vivenza a carico per rigettare l’istanza avanzata dalla donna.
Per maggiore chiarezza, viene precisato che, sotto il profilo sostanziale, la vivenza a carico continua ad integrare un presupposto costitutivo del diritto alla provvidenza assistenziale invocata, in quanto la legge del 1997, rispetto alla formulazione originaria della norma, ha introdotto la possibilità per gli aventi diritto (coniuge, figli, genitori, fratelli minorenni o quelli maggiorenni se inabili al lavoro) di optare tra l’indennizzo reversibile e l’assegno una tantum, aumentandone l’importo originario da 50 milioni di lire a 150 milioni di lire, ma non ha inciso sui requisiti necessari per la concessione del beneficio.
Per quanto concerne, poi, il profilo della concreta allegazione e prova del requisito, non può attribuirsi, precisano i giudici di merito, rilievo al certificato di stato di famiglia e alla mera circostanza della coabitazione della donna con il coniuge deceduto, circostanza, questa, non sufficiente ai fini della vivenza a carico, che richiede invece la sussistenza di una condizione di non autosufficienza economica del congiunto superstite e la dipendenza dal reddito della persona deceduta, ancorché questo non rappresenti l’unico sostentamento della famiglia.
Questa visione è condivisa dai magistrati di Cassazione, i quali richiamano, innanzitutto, il quadro normativo nel cui ambito si colloca la provvidenza dell’assegno una tantum invocata dalla donna.
La norma prevede che chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti. L’indennizzo consiste in un assegno non reversibile.
Successivamente è stato introdotto l’assegno una tantum, prevedendo che, qualora a causa delle vaccinazioni o delle patologie previste dalla presente legge sia derivata la morte, spetta, in sostituzione dell’indennizzo, un assegno una tantum, nella misura di 50milioni di lire ,da erogare ai soggetti a carico, nel seguente ordine: coniuge, figli minori, figli maggiorenni inabili al lavoro, genitori, fratelli minori, fratelli maggiorenni inabili al lavoro. Ancora successivamente, si è prevista la reversibilità, per quindici anni, dell’assegno, elevando l’importo dell’assegno una tantum a 150milioni di lire – pari a 77mila 468 euro e 53 centesimi –.
Allo stesso tempo, è stato riscritto l’ambito degli aventi diritto, includendovi i figli maggiorenni, anche non inabili al lavoro, e ampliandone la portata, nel profilo più squisitamente economico, nel senso di considerare non dirimente che il reddito della persona deceduta rappresenti o meno l’unico sostentamento della famiglia: nell’attuale formulazione, infatti, la norma stabilisce che sono considerati aventi diritto nell’ordine i seguenti soggetti a carico, cioè il coniuge, i figli, i genitori, i fratelli minorenni, i fratelli maggiorenni inabili al lavoro, e prevede che i benefici spettano anche nel caso in cui il reddito della persona deceduta non rappresenti l’unico sostentamento della famiglia.
La legge del 2003 ha chiarito che la reversibilità dell’assegno si intende applicabile solo in presenza di precise condizioni, così uniformando i presupposti, oggettivi e soggettivi, per l’assegno reversibile e per l’assegno una tantum, in considerazione della natura alternativa delle due prestazioni. Pertanto, nell’ipotesi di decesso del danneggiato causalmente connesso con le vaccinazioni o patologie previste dalla legge numero 210 del 1992 i familiari indicati hanno diritto di fruire dell’assegno mensile reversibile (per il tempo di quindici anni) o, in alternativa, di percepire l’assegno una tantum: vengono in considerazione diritti alternativi, non penetrati nel patrimonio del dante causa, riconosciuti al familiare iure proprio e soggetti ai presupposti stabiliti. Al contrario, nell’ipotesi di decesso del danneggiato non causalmente connesso con le vaccinazioni o patologie, spetta agli eredi, iure successionis, ciò che formava oggetto del diritto già acquisito dal de cuius, ovverosia i ratei dell’assegno istituito in suo favore, scaduti prima del decesso e non ancora percepiti.
Alla luce del quadro normativo, i giudici di Cassazione tirano le somme: entrambe le provvidenze sono funzionalmente distinte dall’indennizzo e soggette a presupposti specifici diversi da quelli ai quali è subordinata la percezione dell’indennizzo stesso. Tale diversità implica, per un verso, la compatibilità della fruizione da parte del de cuius dell’indennizzo con la percezione, da parte degli aventi diritto, dell’assegno una tantum e trova fondamento, per altro verso, nella diversa natura dei due diritti soggettivi: l’uno (quello all’indennizzo), avente la funzione di riparazione (sia pure non integrale stante il carattere indennitario e non risarcitorio stricto sensu della prestazione) dei pregiudizi conseguenti alle menomazioni dell’integrità fisica derivate dalle vaccinazioni o somministrazioni di sangue ed emoderivati; l’altro (alternativamente, il diritto all’assegno reversibile o a quello una tantum), avente la funzione pubblicistica assistenziale di ristoro, anche economico, garantito dall’ordinamento agli stretti familiari del congiunto che per il proprio sostentamento contavano, anche solo in parte, sul reddito della persona deceduta.
Perciò, diversamente da quanto sostenuto dalla donna, con riguardo ai diritti iure proprio dei superstiti (dunque, sia l’assegno reversibile che l’assegno una tantum), il requisito della vivenza a carico del de cuius, già richiesto dalla formulazione originaria della norma, non è stato, neppure sotto il profilo meramente testuale, espunto dalla norma successiva. E la situazione di non autosufficienza economica del congiunto superstite e la sua dipendenza dal reddito della persona deceduta possono essere anche parziali, in quanto il reddito non sia l’unica fonte di sostentamento della famiglia.
Tirando le somme, in materia di indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, il riconoscimento dell’assegno una tantum in favore dei superstiti presuppone la sussistenza del requisito della vivenza a carico della vittima, giacché il diritto al ristoro poggia su una concezione di famiglia intesa quale comunità di reciproco sostentamento. Non può infine sottacersi che la precisazione del requisito della vivenza a carico in termini di dipendenza, anche solo parziale, del congiunto dal reddito della persona deceduta, esclude la possibilità di ritenere tale requisito insito nel mero fatto della convivenza, anche con riferimento alla peculiare posizione del coniuge superstite.

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